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Era nato nella contrada Bernardi di Selva di Progno, provincia di Verona nel 1924. Fin da piccolo aveva avuto l’idea di farsi frate e missionario. Non aveva ancora tredici anni quando, accompagnato dal papà, da una sorella e una cugina, raggiunge Chiampo, dove c’è il collegio serafico, dopo sette ore di cammino scavalcando la montagna che separa la Val d’Illasi da quella di Chiampo. Altre lunghe camminate attraverso paludi e foreste lo avrebbero atteso in Guinea-Bissau, il più povero stato dell’Africa, ancora colonia portoghese nel 1955. Insieme a fra Giuseppe Andreatta e fra Epifanio Cardin si porta nel lebbrosario di Cumura, a dieci chilometri da Bissau. Qui incontrano i più poveri dei poveri che vivono abbandonati nelle peggiori condizioni igienico sanitarie. Prima di raggiungere l’Africa si era fermato per sei mesi a Lisbona per imparare il portoghese, lingua ufficiale della Guinea-Bissau.

E qui si impadronisce del criolo, la più diffusa lingua locale, che gli consente di avere rapporti immediati con la popolazione. Il lavoro non manca. Si tratta di costruire dal nulla la missione. Dopo qualche anno un nuovo lebbrosario sostituisce le fatiscenti capanne. E con l’aiuto dei lebbrosi sorge anche l’abitazione dei frati che un po’ alla volta vengono accettati ed apprezzati dai guineani, che prima si tenevano alla larga per non contaminarsi. L’assistenza ai malati e ai più miseri è il problema più urgente da affrontare. Alla medicazione delle ferite viene riservata la mattinata. Nelle altre ore della giornata l’impegno è rivolto all’assistenza sociale e spirituale. Arrivano altri frati e in seguito anche le suore. Altre missioni sorgono nel vasto territorio.

 

Quando nel marzo del 1977 il papa Paolo VI lo nomina vescovo, padre Settimio è il primo a stupirsi. Pensa di non essere lui il destinatario della lettera recatagli dal segretario della Nunziatura apostolica di Dakar. A malincuore, per obbedienza, accetta l’incarico. Ottiene però di rinviare fino alla metà di maggio la comunicazione ufficiale. Il motivo è che deve portare a termine la costruzione delle casette per gli ex lebbrosi anziani rifiutati dalle loro famiglie. Padre Settimio ha un profondo rispetto per i guineani. Instaura un rapporto di reciproca stima con tutti. Siano essi di fede animista, la maggior parte, o di fede musulmana o cristiana, li tratta con la stessa attenzione. Diventato vescovo, padre Settimio rimane l’umile frate sempre pronto ad aiutare i più bisognosi. Ad un volontario che doveva recarsi lontano nella foresta alzandosi prima dell’alba ha preparato il caffè e gli ha messo in mano una bottiglia di cognac dicendo: “Questa in caso avessi bisogno”. Un altro fatterello è stato raccontato dal comandante di una nave che aveva portato materiale per la Missione. Domanda ad un uomo in braghette corte e canottiera seduto su un ceppo dove può trovare il vescovo. “Sono io” risponde padre Settimio che, invitato a pranzo sulla nave, mangia la pastasciutta e, come i montanari di una volta, l’accompagna con il pane. Manda a studiare in Italia decine di guineani e guineane. Con l’assistenza dei volontari, in particolare di Vittorio Bicego che è il braccio destro di padre Ferrazzetta, i giovani imparano a coltivare gli anacardi e a confezionarli sul posto nel rispetto di tutte le norme igienico sanitarie, pronti per l’esportazione e il consumo. Alcuni suoi compaesani passano le ferie a fare l’idraulico, l’elettricista, il muratore. Una non più giovane compaesana trascorre per molti anni l’estate a far la cuoca nella Missione.

ARTURO

SETTIMIO

FERRAZZETTA | VITA

E PENSIERO

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